Se ne parla tanto, ma sappiamo davvero di cosa si tratta?
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) interessano alcune specifiche abilità dell’apprendimento scolastico.
La parola “dislessia” deriva da dis – [disturbo] lessia – [lettura] in latino e [linguaggio] in greco: riguarda, quindi, un disturbo specifico della lettura. Specifico nel senso che un alunno ha significative difficoltà a leggere nonostante un’adeguata intelligenza, assenza di gravi patologie neurologiche o sensoriali (udito e vista), un’istruzione convenzionale e opportunità socio-culturali. Nel 2003 la dislessia è stata definita dal gruppo di lavoro dell’“International Dyslexia Association” (IDA) come un disturbo specifico di apprendimento, che ha origine neurobiologica. E’ caratterizzata da difficoltà nel riconoscimento fluente di lettere, sillabe e parole. Queste difficoltà derivano tipicamente da deficit nella componente fonologica (i suoni) del linguaggio e nell’esplorazione visiva dei grafemi, ovvero le lettere scritte su un foglio. Le conseguenze secondarie della dislessia possono includere problemi nella comprensione del testo scritto, nella riduzione della lettura come piacere, nella limitazione dell’apprendimento di conoscenze, che utilizzano il canale verbale (lo studio scolastico). Un bambino dislessico è un alunno che fa molta fatica a scuola: è lento a leggere ed a scrivere, a copiare dalla lavagna, a seguire il dettato della maestra, a completare le verifica, a ricordare le nozioni di studio. Le difficoltà di apprendimento scolastico influenzano il quadro emotivo del bambino e spesso anche quello relazionale, sia con i compagni che con gli insegnanti, i quali lo giudicano negativamente per i suoi insuccessi e fatiche, non certamente volontarie. Il disturbo della lettura (dislessia) è il più diffuso fra i DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), tra cui rientrano anche i disturbi della scrittura (disortografia e disgrafia) e del calcolo (discalculia).
La disortografia è l’incapacità di scrivere correttamente le parole dal punto di vista ortografico, rispettando le doppie, gli apostrofi, i gruppi di consonanti, ecc. secondo le regole della lingua scritta; la disgrafia è caratterizzata da una grafia notevolmente imprecisa tale da non essere comprensibile. L’incidenza della dislessia dipende dalla trasparenza della lingua: l’italiano è molto trasparente, perché quasi tutte le parole si leggono come si scrivono senza particolari eccezioni, come, invece, accade per l’inglese. Quanti sono i bambini dislessici in Italia? Un recente studio italiano, coordinato dall’Ospedale Infantile Burlo Garofalo di Trieste, ha permesso di stabilire che i dislessici italiani sono circa il 3.2% della popolazione in età scolare (circa 300.000 ragazzi). Solamente un terzo di questi avevano già ricevuto una diagnosi, gli altri due terzi non sapevano di essere dislessici. Da cosa è causata la dislessia? Nella letteratura scientifica è ormai riconosciuto che alla base della dislessia vi sia una componente di natura genetica. Anche gli studi sui gemelli hanno confermato l’importanza dei fattori genetici nello sviluppo del disturbo. Analizzando il DNA dei bambini dislessici, sono stati riscontrati almeno una quindicina di geni, che possono contribuire alla causa del disturbo: questi geni sono localizzati soprattutto nei cromosomi 2, 6 e 15 i quali si occupano di stabilire le regole dell’organizzazione cerebrale del neonato. Queste anomalie genetiche determinano problematiche sia nell’elaborazione dei suoni del linguaggio che nella scansione rapida degli stimoli grafici sul foglio. Sul piano linguistico il bambino dislessico, prima di iniziare la scuola primaria, fatica a “giocare” con i suoni delle parole: in un esercizio come questo “diciamo tutte le parole che iniziano con la f” oppure “da quali lettere è formata la parola TAVOLO” incontra notevoli difficoltà, perché non riesce a concettualizzare quali suoni formano le parole.
Secondo altri ricercatori la difficoltà di lettura è anche causata da una lentezza nell’analisi spaziale delle parole scritte sul foglio. Le conseguenze di queste specifiche difficoltà si ripercuotono su gran parte delle attività scolastiche, soprattutto quelle che richiedono elaborazione verbale delle nozioni da apprendere. L’intervento di supporto degli alunni con dislessia viene effettuato su tre diversi livelli: il potenziamento dell’abilità di lettura, la mediazione con gli insegnanti di classe, il supporto psicologico per gestire le conseguenze emotive e relazionali della dislessia. Per potenziamento intendiamo un percorso di allenamento della lettura, che viene effettuato tramite la presentazione al computer di brani da leggere in base a modi e tempi personalizzati sul bambino. Un ciclo di potenziamento mediamente dura circa 4 mesi e, se applicato regolarmente, può migliorare significativamente le prestazioni di un bambino dislessico. Il lavoro con gli insegnanti è possibile realizzarlo soprattutto grazie all’introduzione nel 2010 della legge 170, che ha rivoluzionato la comprensione dei DSA in classe ed ha permesso agli insegnanti di far utilizzare ai dislessici gli strumenti di compenso alle difficoltà di apprendimento e dispensarli da certe richieste per loro particolarmente ostiche. Infine un bambino dislessico può essere un bambino sofferente, perché si rende conto che deve studiare con il “freno a mano tirato” e non riesce a marciare come gli piacerebbe. Inoltre può capitare che l’insegnante, che non conosce la dislessia, gli dica che è uno svogliato (anche se spesso finisce i compiti dopo cena) ed i compagni lo facciano passare per un “asino”.